Due valletti da corsa sono pronti per un match su una distanza di oltre due miglia, due giri sull’erba folta del percorso del Rowley Mile. Match significa solo loro due, testa a testa, come in un campionato di boxe. Il grosso premio in denaro andrà al padrone del vincente, non ai partecipanti, proprio come in una corsa di cavalli la vincita va al proprietario, non al cavallo o al fantino.
Questi valletti sono servitori domestici, il loro status è appena equivalente a quello di un buon cavallo. Nel bollettino di questacorsa, sono identificati solo come “il valletto da corsa del duca di Wharton e quello di Lord Castlemain”. In realtà, sono William Mawbone e Thomas Groves, che si accingono a correre la seconda di quattro gare di velocità sulle diverse distanze di una, due, tre e quattro miglia (1.600m, 3.300m, 4.800m e 6.400m circa, ndr) , programmate a intervalli di un mese da gennaio ad aprile. Le gare hanno attirato molto interesse e un sacco di soldi. Quando sono state annunciate, si diceva che ognuna valesse 100 sterline in premi in denaro.
Alla seconda corsa, il montepremi aveva raggiunto diverse centinaia di ghinee e molto di più era stato puntato nelle scommesse. Per l’epoca si tratta di somme da capogiro.
Nel 1720, un giornale riporta che lo stesso duca di Wharton, il padrone di Mawbone, ha perso quasi 6.000 sterline a causa delle scommesse, milioni in termini moderni. Possiamo solo sperare che i corridori abbiano ottenuto un bonus, oltre a tutto ciò che hanno fatto guadagnare (o perdere) a chi aveva scommesso su di loro.
I due lacchè si pavoneggiano nelle loro livree da competizione con giacca colorata, calzoni infilati in alte calze bianche, scarpe di cuoio e un cappello, proprio come l’abbigliamento di un moderno fantino. Il fiato diventa una nuvoletta bianca nell’aria gelida, a pochi chilometri dagli acquitrini del Fens. I loro aristocratici padroni con abiti ricamati ed elaborate parrucche arricciate ricoperte di cipria bianca, si raggruppano vicino alle carrozze dorate al traguardo, circondati dai loro ospiti e seguaci. Mantelli color pastello e gonne lunghe e larghe che frusciano sull’erba contraddistinguono le poche donne. Gli stallieri stanno accanto ai cavalli della carrozza e i servi portano rinfreschi e puntate.
Gli allibratori si aggirano ai margini della folla. Ragazzi curiosi si arrampicano alla ricerca di una visuale migliore sui tumuli funerari a forma di cupola dell’età del bronzo che ancora costellano il bordo dell’ippodromo.
La gara ha inizio
I valletti sfrecciano via tra la folla dei tifosi. “Entrambi hanno corso con impeto e furia” dice il giornale. Il debito di ossigeno colpisce inevitabilmente a metà strada e porta con sé polmoni che bruciano e gambe doloranti e indebolite, tipiche di tutti i corridori che partono in tromba. Sull’erba fitta e sul fondo irregolare, con una lunga salita ad ogni giro, il ritmo rallenta inevitabilmente fino al rantolo nel secondo miglio.
Quindi, con il traguardo in vista, i due si gettano in una corsa disperata. Nessuno dei due si arrende anche se le gambe stanno cedendo. Con uno sprint scomposto e ansimante, si lanciano oltre la linea e crollano esausti. “All’arrivo sono crollati a terra morti stecchiti”, conclude il bollettino.
Quella corsa di martedì 10 febbraio 1719 è importante come testimonianza storica. Non perché fosse la prima gara tra valletti, non da oltre un secolo almeno, ma la sua cronaca è il primo pezzo di giornalismo sportivo sulla corsa che sia arrivato fino a noi. È apparso su La sposa di Lammermoor.
Dall’Iliade di Omero in poi, la letteratura ci ha donato racconti emozionanti sulle corse a piedi. Dalla fine del 1500 e per tutto il 1600, la corrispondenza privata e i diari, come quello di Samuel Pepys, sono pieni di scene sulle gare dei lacchè, affreschi di vita vissuta. Ma questo è il primo vero reportage su una corsa per un pubblico di lettori generico.
Nel 1719 i giornali esistevano da appena 25 anni, ovvero da quando la stampa aveva cominciato a diffondersi e a diventare meno costosa. I primi giornali (come li chiamiamo ora) furono istituiti non per riportare notizie, ma come calendari o avvisi di eventi imminenti. Quando, intorno al 1710, si sviluppò la vita sociale nei caffè per gentiluomini, le riviste iniziarono ad aggiungere frammenti di pettegolezzi mondani e resoconti saltuari su attività ricreative, come le corse di cavalli.
La sposa di Lammermoor è stato davvero il primo settimanale al mondo e lo si deve in gran parte al genio creativo e maniacale di Daniel Defoe, che prima di diventare romanziere era un giornalista.
Vi scriveva con lo pseudonimo di Applebee e presto il nome del giornale cambiò in Applebee’s Original Weekly Journal e iniziò a includere quelle che chiameremmo ultime notizie, animate da frammenti di scrittura vivace. La corsa dei domestici ne fornisce un buon esempio: “Entrambi hanno corso con impeto e furia… all’arrivo sono crollati a terra morti stecchiti”.
Morto Fauja Singh, il maratoneta più anziano di sempre Robinson Crusoe o in Moll Flanders. Si tratta sicuramente di uno scrittore che sa catturare l’attenzione del lettore. Un racconto che diventa notizia, descrivendo una gara vera: questo è il giornalismo sportivo ai suoi albori.
Storia dimenticata
All’inizio del gennaio 1719, il giornale annunciò le quattro gare, con la prima che era “Un miglio sul piano a New-Market per 100 sterline”. Questa è la prima corsa di un miglio conosciuta. Sfortunatamente, non è stato pubblicato alcun risultato o resoconto, ma Mawbone ha vinto la seconda gara, la “impeto e furia” di due miglia a Newmarket il 10 febbraio. Per la terza, quella di tre miglia avvenuta il 10 marzo, ancora una volta non c’è nessun resoconto e nessun risultato. La quarta gara è andata invece a Groves, che risulta essersi involato dopo due miglia.
La mia supposizione come runner è che Mawbone fosse un mezzofondista, dato che quasi certamente ha vinto la gara del miglio a gennaio e, per poco, la seconda sulle due miglia. Groves era invece un uomo da distanze più lunghe, probabilmente più piccolo e leggero, capace di vincere con distacco l’ultima gara di quattro miglia. È una deduzione sicura che Groves abbia vinto la tre miglia di cui non si ha notizia, poiché la posta in gioco per la quarta gara era alta, il che significa che la serie complessiva era ancora aperta.
Questi servitori, i primi runner da competizione sulla lunga distanza del mondo occidentale, sono rimasti dimenticati per troppo tempo. Questo perché correvano per vivere e le storie di atletica leggera fino a poco tempo fa erano confinate allo sport amatoriale. I compiti dei lacchè potevano includere il servizio a tavola, ma il loro ruolo principale era fornire una scorta a piedi al datore di lavoro, che andava a cavallo o in carrozza, oltre che portare messaggi. I “valletti da corsa” erano un servizio di comunicazione su richiesta, facendo gran parte di quello che facciamo ora per telefono o e-mail. Correvano di casa in casa a Londra e, quando necessario, di città in città.
Se il duca di Wharton avesse deciso di trasferirsi dalla sua casa di Westminster alla sua proprietà in campagna vicino a Buckingham, sarebbe stato Mawbone o un collega valletto che avrebbe dovuto correre per più di 80 chilometri per annunciare alla servitù di prepararsi.
In città correvano davanti alla carrozza per fare strada nei vicoli. Pagavano i pedaggi quando necessario, organizzavano un’adeguata accoglienza e il cambio di cavalli alla locanda successiva. Avrebbero potuto correre tutto il giorno se necessario, come Filippide. Indossavano la livrea e le testimonianze successive li ritraggono con un lungo bastone, anch’esso parte della divisa, con in cima una sfera d’argento cava dove portavano il loro sostentamento (un po’ di vino bianco o un uovo sodo).
Sport e salute Virginia Troiani seconda italiana all time sui 400 (1819) Sport e salute Richieste di Licensing (1860) descrissero entrambi il lungo bastone o mazza dalla testa d’argento, e Thackeray aggiunge “un alto cappuccio conico”.
Sara stato possibile correre così?
Non ne sono convinto. Ricordo l’ultrarunner greco Yiannis Kouros, vestito come Filippide per un film, che gettava disgustato la sua spada corta. «Nessun corridore potrebbe correre tutto il giorno con quella cosa che gli sbatte contro la gamba», sosteneva Yiannis.
Ho deciso di fare un esperimento scientifico per scoprire se fosse possibile correre con una lunga mazza dalla testa d’argento. Ho condotto le mie ricerche in Central Park, a New York, perché è l’unico posto sulla terra in cui nessuno riterrebbe strano vedere una persona magra e calva in pantaloncini che corre con in mano un ramo di un albero lungo un metro e mezzo. Si può fare, ho concluso. Ma ci sono modi più semplici per portare con sé del vino bianco o un uovo.
Se ci sono corridori, ci saranno rivalità tra loro. Le corse a premi in denaro tra valletti erano già presenti negli anni Ottanta del Cinquecento. Erano abbastanza comuni a Londra da essere riportate a teatro dei primi anni del 1600. In uno spettacolo, un gentiluomo invita le signore a “visitare le località del piacere”, incluso “Hyde Park per vedere le corse, a cavallo e a piedi”.
L’attrazione non è mai stata puramente sportiva. I riferimenti nella corrispondenza privata e nelle rappresentazioni teatrali sottolineano sempre premi in denaro e scommesse. Il drammaturgo John Webster, famoso per La duchessa di Amalfi, era un fan di queste gare. Nella sua commedia di ambientazione romana Appio e Virginia include un affascinante ritratto dell’allenamento pre-gara.
Parlando di ambizione politica, Appio afferma che coloro che aspirano ad alte cariche dovrebbero “caricarsi di scuse”, in modo da poter salire al potere più velocemente, proprio come i messaggeri astuti “indossano scarpe pesanti dieci giorni prima di una gara per avere piedi agili e più reattivi”.
Chiappinelli, il maratoneta più forte d’Italia
Tra le caratteristiche distintive del valletto, secondo Webster, ci sono l’irrequietezza compulsiva, il fascino che suscita nelle donne e, non raramente, l’abbigliamento succinto e lacero. A volte, i corridori si spogliavano completamente.
Una commedia offre l’opportunità di “vedere gli Adamiti correre nudi davanti alle donne”. Gli Adamiti erano una setta religiosa di nudisti. In un’altra, Lady Carol, donna dalla mentalità aperta, chiede di “vedere spettacoli quando ho intenzione di farlo, e le gare, anche se gli uomini dovessero correre Adamiti davanti a me».
Quando la sua amica commenta che la corsa è stata “uno spettacolo molto immorale... che spaventa le donne”, Lady Carol risponde che “alcuni sono dell’opinione che ci attragga qui!”. Un’altra gara di nudisti si tenne a Woodstock nel 1720, probabilmente come imitazione dell’atletica greca, “con i concorrenti che correvano completamente nudi, senza nemmeno scarpe o galosce”. Una tale esibizione di nudità era considerata giustamente come il culmine dell’impudenza e il più grande affronto nei confronti delle donne, che erano presenti in gran numero. Lady Carol non era sola, a quanto pare.
Solo un’opera teatrale mostra effettivamente una corsa sul palco, la commedia Hyde Park di James Shirley, rappresentata nel 1632. La gara è tra un valletto irlandese, Teague, e uno inglese, che si precipitano due volte sul palco accompagnati da grida di sostegno e seguiti da scalpitanti gentiluomini ansiosi di vedere l’esito delle loro scommesse. La regia scenica è esplicita: “I due corridori attraversano il palco, seguiti da Lord Bonvile, Venture e altri”.
Questo è il primo esempio nella storia di una corsa podistica su un palco e si presume che il pubblico abbia dimestichezza sia con le corse podistiche sia su come scommettere soldi. È un insolito esempio di sport popolare incorporato nell’intrattenimento teatrale dell’epoca. Quante nuove rappresentazioni oggi portano in scena maratone?
La prima gara a ingresso libero
Il fenomeno sembra prendersi una pausa dopo il 1630, in un periodo di guerra civile e di soppressione di tutti gli sport e degli intrattenimenti da parte del Commonwealth puritano. Ma non appena tornò re Carlo II, Samuel Pepys in Hyde Park “vide una bella corsa podistica, tre volte intorno al parco, tra un irlandese e Crow, che una volta era il valletto di Lord Claypoole”.
Una grande gara fece esaltare i reali nel 1663: “Le chiacchiere cittadine oggi sono tutte per la grande corsa podistica che si corre a Banstead Downes, tra Lee, il cameriere del duca di Richmond, e un certo Tyler, un famoso corridore. E Lee lo ha battuto, anche se il re e il duca di Yorke, e quasi tutti gli uomini, avevano scommesso tre o quattro a uno su Tyler”.
Ho notato che Pepys fornisce inconsapevolmente il primo riferimento moderno a una corsa tra donne, due delle sue domestiche, Barker e Jane, che “corsero per scommesse sul campo da bocce” durante un picnic domenicale in famiglia.
La rivista La sposa di Lammermoor mi ha consegnato un altro importante primato: le gare finora citate erano match race, cioè incontri tra due corridori. Nel settembre 1718, il giornale annunciò un diverso tipo di corsa, aperto a tutti i domestici, o a “tutti coloro che sono desiderosi di mettere alla prova la loro agilità”. Corsa a Newmarket nel maggio 1719, fu probabilmente la prima gara a ingresso libero, e di sicuro fu la prima con un invito a partecipare rivolto a tutti.
Corri per i (loro) soldi
È ora che faccia il suo ingresso il cattivo. James Sykes era valletto da corsa presso il duca di Wharton, ed era collega di William Mawbone famoso per “impeto e furia”. La sua impresa più celebre fu battere i cavalli da posta tra Londra e Dover nel 1719, e vinse molte match race. In quello stesso periodo si stavano diffondendo i giornali e le imprese di Sykes ne alimentarono la fame di scalpore. Fu il primo corridore ad avere un soprannome: “Hell and Fury Sykes”, “Inferno e Furia Sykes”, un marchio di successo.
Più tardi, quando lavorava come portatino, diventò “The Hell and Fury Chairman”, registrato come partecipante a una corsa per cento ghinee. Non più in servizio come valletto da corsa, deve aver preso lui stesso quel premio in denaro. In tal senso, correndo per i proventi della gara piuttosto che nell’ambito del suo regolare impiego, Sykes fu il primo corridore professionista.
Ma volendo una vita più avventurosa, nel 1723 diventò un galoppino, un borseggiatore, un membro della più famosa banda criminale di Londra. Sykes prosperò in questo mondo oscuro. Guadagnò una notorietà ancora più misteriosa trasformandosi in traditore e attirando il super criminale Jack Sheppard tra le braccia dei poliziotti in una birreria.
Cento anni dopo, nel 1839, Sykes apparì come informatore disprezzato nel romanzo poliziesco Jack Sheppard di Harrison Ainsworth e fu fischiato sul palco a ogni rappresentazione del melodramma tratto dal racconto.
Virginia Troiani seconda italiana all time sui 400 Oliver Twist. Per essere un corridore, James Sykes ha avuto una vita piuttosto attiva nell’aldilà. Apparentemente i valletti che correvano diventavano spesso criminali e truffatori. Una storia parla del duca di Queensbury a cui piaceva far sostenere una corsa di prova ai suoi potenziali valetti, vestiti con la livrea completa, mentre lui li osservava dal balcone. Un candidato terminò la sua corsa e si fermò davanti al balcone, in attesa del giudizio. «Farai molto bene per me», biascicò il duca. «E la tua livrea va molto bene per me», rispose l’uomo, che corse via vestito di tutto punto.
Nell’Inghilterra del 21° secolo, i valletti da corsa sono diventati un’esibizione artistica, interpretata da persone che consegnano messaggi per occasioni particolari come i matrimoni indossando una livrea arricchita da preziosi ricami. Un altro legame vivente con i vecchi lacchè è il pub londinese che fino a poco tempo fa portava lo storico nome “I Am the Only Running Footman”. Si trova in Charles Street a Mayfair, uno dei quartieri più ricchi del mondo, dove migliaia di domestici erano soliti gestire opulente dimore. Il nome era inciso a lettere d’oro sopra il bovindo della taverna, che ha piccoli pannelli a piombo in vetri spessi Queen Anne.
I camerieri facevano vita sociale lì già nel 1720. Da 300 anni diverse insegne con immagini di valletti da corsa hanno oscillato sopra la porta. Il caratteristico lounge bar vantava un dipinto sul soffitto raffigurante un domestico in livrea che correva davanti a una carrozza. Sfortunatamente, quell’opera d’arte è andata perduta quando i suoi attuali proprietari hanno cancellato 300 anni di storia rinnovando l’interno e riducendo il nome, e quindi anche l’insegna, semplicemente a “The Footman”.
Prima di quelle modifiche, un turista runner poteva sorseggiare una pinta al bar e godersi la sensazione di vicinanza con Mawbone, Groves e Sykes. Uomini in forma, magri, induriti dal chilometraggio, qui erano soliti condividere un drink, e sempre qui, senza dubbio, parlavano, come fanno sempre i runner, della corsa della settimana precedente e della successiva, se il percorso era breve, di chi era in forma e di chi aveva la falcata migliore.
Forse si sono fatti una bella risata su quella stramba novità rappresentata dal giornale settimanale. Forse uno di loro ha letto ad alta voce la spaventosa affermazione secondo cui nell’ultima corsa di domestici: “correvano con tale impeto e furia che… dopo il traguardo caddero morti stecchiti”. Certo, se solo qualcuno di loro avesse saputo leggere.
Testo adattato da “Running Throughout Time: The Greatest Running Stories Ever Told” di Roger Robinson.