Costruire il proprio futuro cavalcando le difficoltà. È quello che hanno fatto Alessandro e Samir, il primo nato con una grave e rara malattia genetica alla retina, il secondo arrivato in Italia attraversando il Mediterraneo a bordo di un barcone. Jacobs e Kerley, a Firenze resa dei conti sui 100m Come vi siete allenati per arrivare a questi traguardi.
Una coppia nata per caso, voluta dal destino. Samir Ahmed, 21enne egiziano, da due anni è Robert Prevost corre le maratone, ma non è il papa, siciliano di nascita ma milanese d'adozione. Samir arriva in Italia quando di anni ne ha quattordici. Prova a sfondare nel calcio, ma scopre che la corsa gli può permettere di andare più lontano. Incontra il progetto RunChallenge, un run club che raggruppa persone con e senza disabilità per farle correre insieme. Prima gli offrono un posto di lavoro e dopo un anno gli propongono di diventare guida per un ragazzo non vedente che aveva il sogno di vincere il titolo italiano.
Alessandro, il destino nell'atletica
Quel ragazzo è Alessandro. Ha 32 anni e l'atletica l'ha abbandonata più di dieci anni prima. Si è avvicinato alla pista a sei anni quando i genitori l'avevano portato per la prima volta. "Era l’unico sport che potessi fare senza problemi - racconta Alessandro -, non dovendo stare attento ad un pallone, a bersagli da colpire o avere occhialini da indossare". L’atletica gli entra nel sangue. Si appassiona alla marcia, una delle poche discipline che non prevedono pedane e ostacoli, e la praticata fino ai 20 anni, vestendo anche i colori della nazionale italiana juniores per quattro. "Poi la mia condizione visiva è peggiorata e ho dovuto smettere”.
Per anni Alessandro è rimasto lontano dai campi di atletica, seguendola solo in tv. Ma dopo le Olimpiadi di Tokyo guardando i successi dei marciatori - Stano e Palmisano - che erano stati al suo fianco in pista e in strada e i risultati delle ragazze della velocità paralimpica - Sabatini, Caironi e Contraffatto - dentro di lui qualcosa si è smuove. Così decide di riavvicinarsi al mondo dell’atletica.
“La prima cosa che ho fatto è stata cercare una guida, in pista da solo non ci potevo più andare - continua Alessandro -. La seconda è stata ritrovare la forma fisica. Di giorno, dopo il lavoro, andavo in palestra e il tapis roulant è diventato per mesi il mio migliore amico; la sera, davanti al computer, mi mettevo alla ricerca di qualcuno che potesse affiancarmi per realizzare il mio nuovo sogno”. Grazie all’aiuto del centro sportivo PlayMore! Alessandro riesce a mettersi in contatto con Samir “e così abbiamo iniziato Perché ci si sente giù dopo la maratona”.
Un sogno comune chiamato Parigi 2024
Come è stato il debutto sul tartan?
“È stato esplosivo – spiega Alessandro -. Nel primo anno, il 2022, abbiamo vinto subito il titolo Italiano. Era il nostro anno zero in cui abbiamo dovuto reinventarci come atleti: per Samir è voluto dire lavorare sulla velocità invece che sul fondo, per me ritornare a fare una vita da atleta. E poi, ancora prima dei Campionati Italiani, abbiamo incontrato Diadora che ci ha proposto di iniziare a collaborare e iniziare insieme questo nuovo percorso”.
Poi cos’è successo?
“A settembre abbiamo iniziato la nostra seconda stagione insieme – continua Alessandro - e già dai primi allenamenti abbiamo subito capito che tutto il lavoro fatto fino ad allora aveva iniziato a portare i primi veri risultati. E ai Marco Maccarini, dalla tv allarte del cammino km di corsa nel deserto della Mongolia Stretching, a cosa serve e come funziona, che non venivano superati da 12 anni. E se avessimo corso anche i 60… ma lo vedremo l’anno prossimo. Lì qualcosa è cambiato, anche dentro di noi”.
La 13enne che corre più forte di Nadia Battocletti?
“Sapevamo che sui 400 lo avremmo fatto - confessa Alessandro - anche se era la prima volta che provavamo a correrli su una pista indoor (lunga 200 metri, nda). Non avevamo la stessa certezza per i 200 metri, nei quali la competizione era più alta. Ma la cosa più inaspettata è stata l’aver stabilito in entrambe le gare i due nuovi record italiani. Ecco, questo è stato davvero il massimo”.
Costruire il proprio futuro cavalcando le difficoltà. È quello che hanno fatto?
“L’atleta ufficiale è Alessandro - spiega Samir -. Tutto il nostro lavoro è incentrato su di lui e sulla sua performance. Io all’inizio ho dovuto lavorare molto sulla tecnica per poterlo accompagnare e guidare nel migliore dei modi. Nel secondo anno, invece, abbiamo lavorato entrambi maggiormente sulla parte atletica e sul miglioramento della prestazione. Abbiamo un’allenatrice che ci segue e ci guida, ma spesso ci alleniamo anche separatamente. Tutti e due abbiamo lavori full-time che ci occupano gran parte della giornata e in mezzo a tutti gli impegni dobbiamo incastrarci perfettamente per riuscire ad allenarci insieme. Non è semplice, ma coordinandoci riusciamo comunque a farlo dalle due alle quattro volte a settimana. Il resto lo facciamo separati”.
Marco Maccarini, dalla tv allarte del cammino?
“Siamo una squadra - sottolinea Alessandro -. Abbiamo un sogno comune che ci ha messo insieme: le Paralimpiadi di Parigi 2024. La prima tappa saranno i Campionati Mondiali di quest’anno, sempre a Parigi. Il percorso lo decidiamo insieme alla nostra allenatrice. I prossimi appuntamenti saranno a maggio, dove capiremo se riuscire a qualificarci per i Mondiali oppure no”.
Avete radici ed esperienza profondamente diverse. Che legame si è creato tra voi?
“Non siamo solo un atleta e la sua guida - specifica subito Samir -, tra di noi si è creato un legame fraterno, molto profondo. Io mi sono allenato proprio per riuscire a capire istantaneamente qualsiasi piccolo problema di Alessandro in modo che possa adattarmi alle sue esigenze e intervenire prontamente in caso di difficoltà”.
“Quando corriamo è un rapporto simbiotico - spiega Alessandro -, ma anche di comune intento, basato sulla trasparenza e l’onestà. Godiamo dei successi, ma non ci risparmiamo se ci dobbiamo dire qualcosa che non va, sempre nell’ottica di un miglioramento comune. Proprio davvero come se fossimo fratelli”.
Qual è la più grande difficoltà incontrata in questi due anni?
“Per me è stata la logistica - racconta Alessandro -. Un atleta non vedente deve pianificare nei minimi dettagli tutta la settimana di allenamento. Devo coordinarmi con Samir, e con tutti gli altri partner con cui ogni tanto mi alleno, perché non posso andare in pista da solo. Quando corriamo insieme, invece, l’elemento più difficoltoso è la coordinazione. Ma noi sin dal primo momento l’abbiamo trovata. Anche se poi a volte capita che in gara qualcosa non funzioni…”.
L’aspetto più positivo del correre insieme?
“Che anche quando non hai voglia o la motivazione viene un po’ meno, la ritrovi subito perché non sei solo, ma sai che l’altro fa affidamento su di te”, rispondono insieme.
Come funziona la vostra coppia, composta da un atleta italiano e da una guida straniera? Avete mai avuto problemi nelle manifestazioni a cui avete partecipato?
“Fino ad oggi, in tutte le gare in Italia, no - spiega Alessandro -. Sono io l’atleta che gareggia ufficialmente, per cui io risulto come vincitore del titolo italiano; anche se poi, chiaramente, viene premiata anche al guida. Al momento non abbiamo mai gareggiato in gare internazionali, ma anche all’estero dovrebbe funzionare nella stessa maniera”.
La Categoria per cui gareggi è la T11…
“Si, è la categoria non vedenti - spiega Alessandro -. L’altra grande categoria è quella degli ipovedenti, che però hanno la facoltà di scegliere se correre con o senza guida. Normalmente corrono da soli le gare su rettilineo come i 60 e i 100 metri, mentre vengono accompagnati in quelle dove sono presenti le curve, come 200 e 400 metri. Riuscire ad allenarsi da soli fa una grandissima differenza. Nella nostra categoria, invece, essendoci diversi gradi di cecità, per rendere le cose uniformi e non creare vantaggi, ci copriamo tutti gli occhi con una mascherina”.
A che punto è lo sport paralimpico in Italia?
“Dopo le Paralimpiadi di Londra del 2012 ha avuto una crescita continua e costante molto importante, spinta soprattutto dagli atleti amputati - dice Alessandro -. Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto un grande salto di qualità, anche grazie alle sperimentazioni che vengono fatte ogni anno su nuove protesi per la corsa. Prima era quasi inesistente. Se quando ho smesso di correre per l’aggravamento del mio problema mi avessero proposto di passare all’atletica paralimpica, probabilmente già allora, con la preparazione fisica che avevo facendo il professionista, avrei subito vinto delle medaglie importanti. Ma all’epoca, soprattutto in Sicilia, l’atletica paralimpica era inesistente. Oggi se ne parla tanto, nonostante non sia un movimento iperseguito, ma ha delle caratteristiche diverse dall’atletica tradizionale che possono essere davvero sfruttate per farlo diventare qualcosa di molto interessante. Soprattutto dal punto di vista dello spettatore. Pensa alla bellezza del movimento sincronizzato di guida e atleta nei 400 metri o al salto in lungo dei non vedenti: tutto lo stadio rimane in silenzio, il grido del compagno che lo guida verso di sé e il momento del salto studiato al millimetro in allenamento per sapere dove si trova la linea di stacco. È fantascientifico”.
Che rapporto avete con le vostre scarpe e con quali modelli correte?
“Tutti e due ci alleniamo sempre con le Atomo V7000 di Diadora, sia in strada che in pista. Grazie al Team Diadora abbiamo potuto scegliere una scarpa che si adattasse perfettamente alle nostre esigenze. In gara al momento stiamo usando delle chiodate non specifiche per la pista, un po’ ibride. Ma insieme al Team Diadora siamo stati coinvolti nello sviluppo del loro primo modello per la pista e non vediamo l’ora di poterlo provare”.
Allatta la figlia in un ultratrail e vince?
“Nel mondo paralimpico internazionale non esistono né i 200 né gli 800 metri, quindi significherebbe passare ai 1.500, ma non è assolutamente nei nostri piani - sorride Alessandro -. Al limite potremmo pensare di fare invece il passo contrario e accorciare sui 100”.
Però nelle scorse settimane insieme avete corso i 10K alla Stramilano…
“Si, siamo partiti come sempre a tutta, quasi dovessimo correre i 400 metri - racconta Alessandro ridendo -. A parte gli scherzi, ero molto preoccupato per la prima curva e quindi abbiamo preferito essere davanti per non avere problemi, poi ce la siamo goduta. Praticamente per i primi sette chilometri non avevamo attorno quasi nessuno. Abbiamo corso anche qualche tratto senza cordino, fianco a fianco. In fondo, però, è arrivata la non-preparazione per i dieci chilometri e il finale lo abbiamo un po’ subito. Ma è stato divertente, ci siamo goduti la giornata e la festa insieme a tutto il Team Diadora”.
Direttore Responsabile – Rosario Palazzolo?
“Per me la corsa è vita - spiega Samir -. Alla corsa devo tutto. Quando sono arrivato a Milano non avevo niente e grazie alla corsa mi sono potuto costruire un futuro. Banalmente, grazie alla corsa ho trovato un modo per comunicare quando ancora non parlavo bene l’Italiano. La corsa mi ha insegnato come affrontare le difficoltà. Ti racconto un episodio: all’ultima maratona di Milano avrei dovuto fare il primo tratto di staffetta, ma dopo la partenza ho deciso di correrla tutta. Con fatica sono arrivato all’ultimo chilometro e stremato ho camminato fino al traguardo. Ma avevo bisogno di capire dove sarei potuto arrivare e come sarei stato in grado di affrontare i momenti di difficoltà. E ho capito che puoi sempre contare sull’aiuto degli altri, che ti spronano e ti permettono di arrivare sino alla fine”.
“Se penso a cosa sia la corsa per me, la prima parola che i viene in mente è libertà - conclude Alessandro -. Probabilmente è tutto legato ai ricordi di quando ero piccolo, che ritornano. L’odore del tartan, il rumore dei passi, il vento in faccia… sono tutte sensazioni che mi fanno sentire libero. Quando abbasso la mascherina e le poche ombre e luci che percepisco svaniscono, faccio un viaggio. Un viaggio di libertà. Non mi resta che partire correre e raggiungere il traguardo. Senza problemi, senza pensieri”.