Tante pagine della storia dell'alpinismo già scritte. La volontà di realizzarne molte altre, magari “raggiungendo un’altra vetta a 8.000 metri, d’inverno, ma in stile alpino”. Sarebbe la prima volta nella storia. E in questo viaggio, che dura da 55 anni, con vita e montagna che si abbracciano fino a confondersi, Simone Moro Richieste di Licensing corsa Ferrari Francesco / Soul Running Cortina, in occasione di km di corsa nel deserto della Mongolia, Corsa e sci di fondo, 3 motivi per provarci Vai al contenuto, A proposito di scarpe: cosa pensa delle nuove Vectiv Summit Pro Ferrari Francesco / Soul Running. Le ultime arrivare in casa del brand adottano la piastra in fibra di carbonio (come nel modello Flight Vectiv) e si propongono di interpretare il trail running secondo tre coordinate: reattività, propulsione e ammortizzazione.

Quando s’incontra un atleta d’élite che ogni giorno vive con gli occhi sull’orizzonte non sui confini, non è un tabù parlare delle sconfitte, magari quelle recenti e che bruciano. Anzi, si inizia proprio da lì. E si scopre che anche chi è arrivato sui tetti del mondo, condivide gli stessi imprevisti degli atleti amatori.

simone moropinterest
Ferrari Francesco / Soul Running

Ciao Simone, cosa non ha funzionato sul massiccio montuoso del Manaslu, in Nepal?
“Non ci giro attorno: mi ha fermato per un problema intestinale. Ho commesso l'errore di mangiare con gli sherpa negli ultimi giorni, quelli dell'attacco alla vetta, perfetti, senza vento. Il cibo nepalese mi piace particolarmente. Purtroppo, secondo me la carne era avariata, perché ci è arrivata a dorso di portatore, dopo essere stata in giro per 15 giorni. Loro hanno la flora intestinale che poteva sopportarla, io no. E questo è accaduto nell'inverno più bello che abbia mai visto nelle mie 22 spedizioni invernali, e lo aspettavo da 5 tentativi. Un inverno così bello e secco era un regalo, alpinisticamente parlando. Dal punto di vista ambientale, invece, è drammatico che ci sia un inverno così”.

Davanti a un obiettivo importante, come si gestisce la tensione o, meglio ancora, gli imprevisti?
“La tensione non è un sentimento pregnante nella mia carriera. Perché quando parto per una spedizione, un obiettivo, magari dopo anni che aspetto si apra la finestra di bel tempo, non sono teso, ma è tutta un'esplosione di entusiasmo e gioia. Gli imprevisti fanno parte di qualsiasi successo raggiunto dell'uomo. Gli esseri umani sono programmati per vivere una serie di fallimenti e apprendere attraverso il fallimento, per poi riuscire a vincere. E io non faccio eccezione: la mia carriera è una serie di successi preceduti dalla perseveranza di voler capitalizzare gli insuccessi, causati da mille fattori”.

Qualche anno fa, ha dichiarato di correre ancora come quando aveva 20 anni, allenandosi ogni giorno, anche di notte, se gli impegni quotidiani non consentono altri orari. È ancora così?
“Sì e ammetto che nelle ultime tre settimane ho caricato troppo e ne risento anch'io. Ho fatto alcune discese sgasando un po' (ride, nda). Amo la corsa, credo sia l'attività più allenante in assoluto. Per me è addirittura terapeutica. C'è un regalo che mi faccio attraverso l'allenamento quotidiano: è il silenzio. È l'unica parte della mia giornata in cui non devo interagire con tutto ciò che ruota attorno al mondo che mi sono creato, fatto di alpinismo, pubbliche relazioni, libri, narrazione e come imprenditore. In quei momenti lì faccio tanto allenamento ideo motorio, cioè penso a ciò che farò, alle spedizioni, le immagino. Lo confesso: Personaggi e atleti. Se uno vuol venire a correre con me, magari gli dico anche di sì, ma mi rovina la giornata (ride, nda). In più, è l'unica attività che posso fare ovunque, non ho l'alibi per non farlo. Anzi, voglio continuare a vincere gli alibi che mi suggeriscono di fare meno fatica. Per correre basta un paio di scarpe, a volte mi è capitato di correre anche senza. Quindi è il miglior allenamento anche per la volontà e la disciplina. Quando sei legato a un attrezzo, ad una condizione a un elemento naturale, puoi aver la scusa per non fare attività. Con la corsa non è così. E questo per me è essenziale. Non posso avere alibi per fermarmi, perché in alta quota, quando devi sopravvivere, la parte debole non devi essere tu”.

Gare ed eventi?
“Non ho vincoli contrattuali che mi vietano di comprare scarpe di altri marchi. Ebbene, queste nuove scarpe sono esattamente quelle che comprerei visto quando mi soddisfano”.

Qual è il suo allenamento preferito?
“Mi piace il fartlek, perché è un'andatura spontanea, tra cambi di ritmo dettati dalla variazione di pendenza e questo allena il miocardio e altri meccanismi energetici che mi servono poi in alta quota. Non uso mai il meccanismo anaerobico e lattacido: in alta quota non funziona perché manca l'ossigeno. Quindi non faccio quasi mai ripetute o lavori in soglia, scatti alla casa del gas per capirci. Quelli servono per andare forti sulle Alpi, ma in alta quota non servono. Poi il fartlek aiuta la mente, perché, allenandomi ogni giorno, non mi stufo, non mi sento come fossi in castigo, un criceto che corre in pista”.

E il cross training?
“Sono molto favorevole, perché sviluppa multilateralità e coordinazione, non solo nei gesti, ma anche quella intramuscolare. Fare più attività possibile, ti porta ad essere un atleta polivalente, tra forza, resistenza, muscolare e cardiaca. E insegna l'adattamento che è parte di qualunque sport”.

Lungo il suo percorso, che ruolo ha la paura?
“Il momento più duro della mia carriera è stato l'inverno del 1997, il giorno di Natale. Siamo partiti in tre per l'Annapurna e sono tornato da solo, vivo per miracolo dopo un volo di 800 metri causato dal crollo di una cornice di ghiaccio, che ha poi fatto innescare una gigantesca valanga. Io sono sopravvissuto per miracolo e i miei compagni non li ho mai più visti. Ho dovuto realizzare un autosoccorso, che è quello che mi ha permesso di salvarmi e, ogni volta che ci penso, non trovo ancora una spiegazione razionale di come sia riuscito a farlo. La paura di non tornare a casa è stata la più forte in assoluto”.

Quindi la paura può essere un'opportunità?
“Penso addirittura che la paura sia una virtù. Chi è privo di paura, ovunque, ma soprattutto in montagna, è destinato a morire presto e giovane. La paura è come una picozza. Senza non puoi scalare. Ascoltando la paura, prendi le decisioni in funzione della tua autoconservazione. È l'arte di sopravvivere e resistere. La paura è come il sonno, come la fame, come l'amore è una pulsione biologica e naturale. E non c'è nulla di naturale che sia malefico o maligno, o estraneo all'uomo”.

Se le dico “consapevolezza”?
“Credo sia un vocabolo importante per saper porre l'asticella all'altezza giusta. Ho messo l'asticella molto in alto, ma ad una altezza che sapevo di poter passare”.

Sempre?
“Sì, perché ho avuto sempre la giusta dose di fifa. Non ho mai voluto sovrastimare. L'obiettivo è sempre stato tornare a casa. Essere consapevoli di chi si è, di dove si vive, di come si decide di agire: è fondamentale nello sport e in ogni altro momento o ruolo nella vita”.