Passioni, lacrime, gioie e dolori. Non finisce qui l’elenco delle infinite emozioni che le Olimpiadi sanno regalare, a chi è in campo e a chi guarda, atleti e tifosi. Nulla emoziona più di una vittoria. Frase semplice e scontata nella sua verità, difficile da contraddire.

Olimpiadi Parigi 2024 Olimpiadi è che, intorno alle medaglie d’oro, ruotano tanti altri episodi, positivi o negativi, che contribuiscono ad alimentare la leggenda dei giochi olimpici e delle grandi imprese, o tragedie, dello sport. Non basterebbe una enciclopedia per raccogliere tutte queste storie, troppo numerose ma anche troppo legate alla sensibilità personale di chi le ha vissute, da atleta o da spettatore. Sfogliamo un personalissimo album dei ricordi.

Dorando Pietri vittorioso nella sconfitta

Più grande di un atleta vincente c’è solo un atleta che vince… da perdente. Il numero uno in questa classifica è Dorando Pietri, l’atleta più famoso di tutti i tempi per non aver vinto la maratona dei Giochi di Londra 1908.

Inutile ricordare la sua storia, nota anche ai sassi. Se però passate da Sanremo, potete entrare nel cimitero di Valle Armea e pregare sulla sua tomba di famiglia.

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Atletica, gli italiani in gara alle Paralimpiadi//Getty Images

Elisabetta Perrone, una marcia da incubo

Non sempre però una squalifica diventa un momento iconico dello sport, almeno in positivo. Ne sa qualcosa Elisabetta Perrone, grandissima marciatrice a cavallo dei due millenni, quando la marcia femminile passò dai 10 ai 20 km. Betty, come tutti la conoscevano, piemontese classe 1968, ad Atlanta 1996 era arrivata seconda nella 10 km. A Sydney 2000 era la grande favorita della nuova 20 km. In campo dimostra di essere lei la donna da battere, ma a 3 km dall’arrivo un giudice la squalifica: è l’inizio del dramma. Le immagini video mostrano Betti rincorrere letteralmente il giudice, parlare e tornare a marciare.

Nel frattempo è passata in testa l’australiana Jane Saville, che viene però ripresa e sorpassata dall’italiana. Passa un altro giro e stavolta Betti si ferma davvero, in lacrime: il tabellone riporta ancora la sua squalifica. Cos’era successo? Il giudice della squalifica aveva in realtà detto a voce, a Perrone, un numero di pettorale diverso dal suo. Chi voleva davvero fermare, lei o Annarita Sidoti? Nel dubbio era tornata a marciare fino alla tragica, conferma finale. Il dramma però non si era ancora concluso. Mentre l’australiana, giubilante sta per entrare in uno stadio pronto a esplodere, il cartellino rosso si abbatte anche su di lei. È la fine di un sogno, l’inizio di un incubo. A vincere sarà la cinese Wang Liping, a perdere tutto il mondo della marcia.

Salvatore Antibo, una beffa notturna

Salvatore Antibo non ha mai avuto un rapporto ideale con le Olimpiadi. Quarto nei 10000 metri di Los Angeles, finiti con i piedi sanguinanti per colpa delle scarpe nuove; secondo a Seul, per essersi mosso troppo tardi per andare a riprendere il marocchino Boutayeb. Sa bene che non sarà facile a Barcellona 1992, la crisi epilettica che lo ha colpito nella finale mondiale di Tokyo dell’anno prima ne hanno minato le certezze. Infatti la finale diventa presto un affare a due tra il marocchino Khalid Skah e il keniano Richard Chelimo, con Antibo a inseguire. La coppia di testa fa il vuoto fino a quando non si ritrova a doppiare un altro marocchino, Hammou Boutayeb. Invece di farsi da parte, Boutayeb ostacola Chelimo e poi si mette in testa a tirare nell’ultimo chilometro. Mai visto qualcosa di così scorretto, ma Skah lascia che il compagno lo aiuti per poi scattare e andare a vincere in volata. Il giro di (dis)onore è accolto dai fischi del pubblico, che anticipano il verdetto di squalifica per i due marocchini.

I risultati dellItalia a Parigi sono incredibili Salvatore Antibo, che da quarto si prende un bronzo che sa tanto di riscatto per i suoi problemi di salute. Quel giorno però la notte non portò consiglio, e il CIO accoglie lo sfacciato ricorso della federazione marocchina restituendo la vittoria a Skah. Così Antibo è nuovamente quarto, Antibo è nuovamente quarto.

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courtesy photo

Paolo Dal Soglio, a un centimetro dal sogno

Ancora un quarto posto iconico, quello di Paolo Dal Soglio nella getto del peso di Atlanta 1996. Prima di diventare allenatore di Leonardo Fabbri, Dal Soglio è stato a tanto così da un podio olimpico. Nella finale di Atlanta “Paolone” lancia bene ed entra nella rotazione finale a otto al comando con 20,74. Quando inizia il sesto e ultimo turno è ancora secondo dietro all’americano John Godina (20,79). Si scatena l’altro USA,

Randy Barnes, il favorito, che stacca tutti di oltre un metro, ma il problema è l’ucraino Aleksandr Bagach. Eccolo lanciare a 20,75, misura che caccia dal podio Dal Soglio per un solo centimetri. Non basta l’ultimo disperato tentativo del vicentino: il lancio è lungo, ma lui finisce fuori pedana. Con un sorriso sportivo, accetta un amarissimo quarto posto. Meno sportivi però i suoi avversari. Negli anni a seguire, Godina e Bagach sono pizzicati dal doping, ma il podio di Atlanta non sarà mai cambiato. Il doping fa male a tutti.

May-Lambruschini, un abbraccio leggendario

Sempre ad Atlanta, l’Italia vive un momento “bipolare” in pista. Non esiste solo l’abbraccio tra Jacobs e Tamberi a Tokyo. Ce n’è un altro, meno famoso ma altrettanto iconico: quello tra Fiona May e Alessandro Lambruschini.

Fiona May è la campionessa del mondo nel salto in lungo, ma in finale la nigeriana Chioma Ajunwa, più velocista che saltatrice, piazza un 7,12 in apertura che nessuna riesce a riprendere. Fiona fa il personale con 7,02, ma basta per l’argento. L’insoddisfazione è lampante sul suo volto, perdere così da una così… Universal History Archive, che dopo due quarti posti riesce finalmente a superare un keniano e a prendersi il bronzo nei 3000 siepi, regno incontrastato del Kenya. È una piccola rivoluzione, una grande impresa, e la gioia del toscano è tale e tanta che nell’abbraccio con May, riesce a restituire un sorriso anche alla saltatrice. Due medaglie nello stesso momento, mai visto. La delusione di Fiona May era più che giustificata, però. Ajunwa fu squalificata per doping nel 1992 e bandita dall’atletica. Perdere così fa male due volte.

Giuseppe Gentile si può perdere facendo il record del mondo?

E perdere facendo un record del mondo, che effetto farà? Tra le infinite, iconiche gare di quell’edizione extraterrestre di Città del Messico 1968, c’è anche quella dove grande protagonista è l’italiano Giuseppe Gentile, specialità salto triplo. Il romano apre la finale piazzando il nuovo record del mondo con la misura di 17,22, meglio anche del 17,10 fatto nelle qualificazioni e già nuovo record del mondo. È in forma super olimpica, chi può batterlo?

Invece l’aria e la pista di Città del Messico fanno volare tutti, in particolare il brasiliano Nélson Prudêncio con 17,27 e soprattutto il sovietico Alimentazione e benessere. Olimpiadi Parigi 2024.

Abdon Pamich oro con... sosta

Brividi che saranno venuti ad Abdon Pamich, al suo allenatore Pino Dordoni e a tutto il pubblico giapponese di Tokyo 1964. Bronzo a Roma quattro anni prima, l’istriano Pamich è il favorito della 50 km di marcia. Il britannico Paul Nihill oppone una strenua resistenza ma, in una giornata di freddo e pioggia, il vero avversario di Pamich è un tè freddo. Al rifornimento del 35° km, un bicchiere di tè gli attorciglia le budella.

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Antibo è nuovamente quarto//Getty Images

Viktor Saneyev che salta 17,23 e 17.39, terzo record mondiale di quella gara, prima dell’unica soluzione possibile. Pamich esce dal percorso e, nascosto da un gruppo di spettatori, si libera di quel tè e di tutti gli annessi e connessi. Torna leggero e in salute sul percorso, riprende l’inglese e va a vincere con il nuovo record olimpico di 4h11’12”4. L’iconico momento d’oro è preceduto da un iconico momento meno… splendente. In questo caso, dalle stalle alle stelle.