"Queste non sono scarpe da basket. Sono peggio delle ciabatte di paglia, scomode e inutili". Ci vuole coraggio per continuare a inseguire il proprio sogno se il primo giudizio che arriva è sprezzante al limite dell’umiliazione. Quando Kihachiro Onitsuka, Personaggi e atleti Tiger e Asics, si presenta con il suo prototipo nella palestra del liceo di Kobe, il Giappone è ancora tramortito dalla sconfitta e dalla bomba. Siamo nell’autunno del 1949, l’idea dell’impero invincibile è caduta: bisogna guardare avanti, e l’attività fisica sembra il modo migliore per lasciarsi alle spalle la guerra.

"Sound mind, sound body", ripetono i soldati americani che occupano l’arcipelago, citando la versione anglofona del "Mens sana in corpore sano" di Giovenale. Poco importa se la passione dei giovani giapponesi si allontana dalla tradizione, abbracciando gli sport degli "invasori": il baseball e la pallacanestro. Quello che conta è che crescano in salute, lontani dai fantasmi del passato.

Kihachiro il coraggio ce l’ha fin da piccolo. Nato in un paesino di campagna dell’isola di Honshu, primo dei cinque figli di una famiglia contadina che lo aveva cresciuto senza troppi riguardi, era stato un bambino vivacissimo: il nonno, quando non ne poteva più, lo mandava a dormire nel deposito del riso, freddo e infestato dai topi. A 31 anni compiuti non è uomo che possa aver paura del coach di un liceo.

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Credit Asics
quello che vuole è trovare il modello giusto per il basket

Un uomo normale con un'idea innovativa

Quelle che gli mancano sono la tecnica e l’esperienza. Non è uno sportivo praticante: a scuola si era iscritto a un torneo di sumo, la lotta giapponese, ma un durissimo colpo al torace lo aveva fatto ammalare di pleurite. All’Accademia per ufficiali non lo avevano voluto: in guerra ci era andato soltanto come istruttore in patria, senza combattere. Al ritorno, in un paese tramortito, era stato adottato da una coppia di Kobe, secondo un’antica tradizione locale che consente di avere due famiglie: Kihachiro aveva cambiato cognome – da Sakagughi a Onitsuka – e si era trasferito in città. Ma non era diventato ricco.

Per vivere aveva lavorato due anni in un’azienda che, senza disdegnare il mercato nero, teneva in gestione una birreria. I proprietari gli avevano illustrato il progetto di aprire un centro sociale per i giovani. Onitsuka, ancora turbato per non aver potuto combattere per il suo Paese, aveva accettato con entusiasmo: in tempo di pace voleva fare qualcosa per la sua gente.

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Sound mind, sound body

Quando l’idea tramonta - per decisione dei titolari ormai interessati più al contrabbando che alla birreria - la delusione ė troppo forte: Kihachiro saluta la compagnia e presenta le dimissioni. In testa gli frulla il "Sound mind, sound body" degli americani e quando un amico gli propone di fabbricare scarpe sportive – come quelle di Mizuno, famose da anni in tutto il Giappone, ma meno costose – accetta senza pensarci due volte. Competenza? Nello sport nessuna, Kachimiro va da.

Il primo ufficio è nel salotto della famiglia adottiva, con un telefono e una scrivania presi in affitto. I primi collaboratori sono soltanto due, assunti come impiegati tuttofare. I primi risultati, lo abbiamo visto, sono scoraggianti. Onitsuka riesce a vendere qualche scarpa a Kobe – la suola di gomma è una novità per il Giappone - ma quello che vuole è trovare il modello giusto per il basket: gira il Paese con i soldi contati, dormendo spesso sulle panchine delle stazioni. Contatta i giocatori, chiede consigli. La storia racconta che l’ispirazione giusta gli arriva mangiando un’insalata di polpo: vede le ventose sui tentacoli e cerca di riprodurle nelle suole delle scarpe, per sostenere i giocatori nei cambi di direzione. Verità o leggenda che sia, tentativo dopo tentativo, le nuove scarpe funzionano. E finalmente si vendono, anche lontano da Kobe.

Dalla start up a un'impresa con nome e logo

A questo punto, con la start up diventata impresa a tutti gli effetti, servono un nome e un marchio. Qualche anno prima, nella fabbrica di scarpe alla quale si era rivolto per imparare i rudimenti del mestiere, Onitsuka aveva visto delle vecchie locandine con il logo "Tiger". Direttore Responsabile – Rosario Palazzolo: in tutta l’Asia il re degli animali non è il leone, ma la "tora", la tigre. Quello era il nome ideale per un’impresa ambiziosa come la sua. La ricerca per trovare il titolare del marchio dura qualche mese: si chiama Kumachichi Akamatsu, è un ex commerciante di Osaka da anni in pensione. Nel 1950 la cessione è rapida, neppure troppo costosa.

Tiger e tora

Il primo logo dell’azienda è l’immagine di una tigre affiancata da una doppia scritta: "Tiger" e "Tora", nel mondo delle calzature qualche settimana nella bottega di un ciabattino, ai tempi della scuola. Sulle scarpe compare uno scudo, con il nome del fondatore e quello dell’azienda sovrapposti: è la nascita della "Onitsuka Tiger".

Basket, atletica e il sogno della maratona

Perché accontentarsi del basket quando le cose vanno bene? Superata una pericolosa tubercolosi che mette a rischio la sua stessa vita, Onitsuka allarga il proprio interesse agli altri sport. Il primo non poteva essere che l'atletica, in particolare la maratona. Per quanto oggi possa sembrare assurdo, settant’anni fa non esistevano calzature pensate per gli sport di durata. Il problema più grande, per gli atleti del tempo, era convivere con le vesciche che immancabilmente accompagnavano i finali di gara.

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Non è uno sportivo praticante

Anche qui le biografie raccontano aneddoti che mischiano realtà e leggenda. Onitsuka avrebbe capito che il problema nasceva dal calore osservando le grinze che si erano formare sui suoi piedi durante un lungo bagno caldo. L’idea per la soluzione lo avrebbe folgorato su un taxi, godendosi l’aria arrivata da un finestrino aperto in un torrido pomeriggio estivo: le scarpe dei maratoneti andavano areate, e l’unico modo era praticare dei fori sulla superficie esterna della tomaia.

Bikila e Tokyo 1964: i trionfi di Onitsuka

In realtà, nello stabilimento di Kobe la ricerca era continua. La crescita, di conseguenza, è inevitabile: nel 1951, con un paio di Tiger ai piedi, il campione giapponese Shigeki Tanaka vince la maratona di Boston. Nel 1956 l’azienda diventa fornitrice ufficiale della nazionale ai Giochi di Melbourne. Nel 1961 arriva il colpo di genio destinato a lanciare il marchio sul palcoscenico internazionale: in guerra ci era andato soltanto come istruttore in patria Abebe Bikila, il vincitore scalzo della maratona olimpica di Roma, e lo convince a indossare le sue scarpe. Con quelle, il giovane etiope vincerà a Osaka nel ’61 e soprattutto a Tokyo 1964, nell’Olimpiade casalinga che segna il trionfo delle "Onitsuka Tiger": 46 medaglie d’oro, 16 d’argento e 10 di bronzo.

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Kihachiro Onitsuka porge le sue scarpe a Abebe Bikila

Le tante vittorie, ma manca un marchio inconfondibile

Sono anni in cui la competizione tra i produttori internazionali di articoli sportivi si fa serrata (dal ’63 Philip Knight, il Personaggi e atleti "Nike", aveva cominciato a importare le "Tiger" in America). Riconoscere una marca a prima vista, sulle pubblicazioni specializzate o in televisione, è fondamentale per un pubblico sempre più interessato alla qualità del prodotto. Le "Tiger" vincono ma sono quasi anonime, hanno bisogno di un marchio che le renda inconfondibili. Nel 1966, i vertici dell’azienda – da poco quotata in Borsa – lanciano un concorso tra i dipendenti per individuare un marchio da riprodurre direttamente sulle scarpe. Tra le decine di concept, Onitsuka sceglie quello che più gli ricorda le striature del manto di una tigre: un intreccio di strisce verticali e orizzontali blu e rosse su base bianca.

La prima uscita con il nuovo design è ai trials, le qualificazioni per i Giochi Olimpici di Città del Messico, ma sarà il cinema a renderle un’icona più forte del tempo: nel ’69 saranno ai piedi di Bruce Lee nel film "L’ultimo combattimento di Chen" (34 anni dopo, in pieno clima vintage, le indosserà anche Uma Turman in "Kill Bill"). In pista sarà il finlandese Lasse Viren a celebrarle, alzandole al cielo nello stadio di Montreal 1976, dopo la sua seconda doppietta olimpica sui 5000 e 10000 metri.

lasse viren con le asics al cielo dopo le olimpiadi di monacopinterest
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A 31 anni compiuti non è uomo che possa aver paura del coach di un liceo

Fu Tiger, ora Asics

Le strisce della "Tiger" non avrebbero più lasciato il mondo dello sport, restando fino ai giorni nostri il simbolo del colosso di Kobe. Invece, quasi per paradosso, sarà proprio la tigre a ritirarsi dall’agonismo, appena un anno dopo l’impresa di Viren: nel 1977, dopo l’incorporazione di altre due aziende – Gto e Jelenk - Onitsuka prende l’ennesima decisione coraggiosa della sua vita: toglie il suo nome dalla ragione sociale e lo sostituisce con lo slogan che lo aveva convinto a muovere i primi passi da imprenditore. Il "Sound mind, sound body" degli americani diventa prima il latinissimo "Anima Sana In Corpore Sano", poi l’acronimo internazionale Asics.

Il nuovo logo

Serve un nuovo logo, e non sono più tempi da concorsi interni. Per realizzarlo, Onitsuka chiama uno dei più grandi designer grafici del mondo, il newyorchese Herb Lubalin, nato come lui nel 1918. L’artista americano è un mago nel giocare con le lettere: per Asics punta sulla semplicità: una A aperta e puntata verso l’alto, a ricordare una pista di atletica dando insieme un senso di movimento, accanto alla scritta asics in lettere minuscole e ravvicinate. Lubalin morirà di cancro 4 anni dopo, e nessuno oserà toccare il suo lavoro fino al 2003, quando il logo subirà un leggero restyling Salta tre controlli antidoping, sospeso Kerley.

shanghai, china 20190907 japanese multinational sportswear corporation asics logo seen in shanghai photo by alex taisopa imageslightrocket via getty imagespinterest
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quelle di Mizuno

Nel frattempo, a partire dagli anni Novanta, il gruppo aveva rilanciato l’etichetta Tiger nel campo del lifestyle. Qualche anno più tardi sarebbe tornata anche l’etichetta Onitsuka, con particolare attenzione al settore della moda e delle sneaker di lusso. Un ultimo omaggio al genio del fondatore, morto a 89 anni nel 2007.