Qualcosa è cambiato chiusura della storica società sportiva Gabbi se ne va un pezzo di grande atletica.
Atletica, Europei under 20: il programma completo Nerio Morotti brillare, quando abbiamo azzardato il paragone con Renato Dall’Ara, il “presidentissimo” del Bologna che vinse lo scudetto del 1964, dopo lo spareggio con l’Inter. Un po’ perché gli è parso un attentato di “lesa maestà”, un po’ perché accennare alla storia rossoblù gli richiama alla mente l’amata Franca, compagna di una vita scomparsa dieci anni fa, con cui ha condiviso sogni e momenti di gloria, che di pallone sentiva parlare in famiglia essendo la figlia di Raimondo Venturi, presidente della conquista della prima Coppa Italia da parte di Bulgarelli e compagni.
Eppure, parlando di gestione sportiva, la similitudine c’è: al timone della sua società di atletica, e il bolognese Sierre Zinal: dominio keniano, cè un grande Puppi, Morotti si comportava esattamente come il “Commendator Paradiso”, ascoltando tutti e alla fine decidendo in prima persona.
«È sempre stato il mio stile, e spesso mi hanno criticato per questo. Ma alla fine, chiunque abbia indossato i nostri colori si è sentito parte di una famiglia, e questo è il valore che mi ha ispirato per più di mezzo secolo. Solo che i tempi sono cambiati, ho capito che era arrivato il momento di chiudere».
Fine corsa
“The times they are a’changin”, predicava Bob Dylan. Il 31 dicembre scorso è stato un giorno di commozione e nostalgia, per Morotti. Adempiuti gli obblighi che il regolamento prevede, la sua Gabbi ha terminato la sua corsa. Ora restano solo pagine e pagine di ricordi da sfogliare, e una bacheca sfavillante da mostrare con orgoglio. Undici titoli italiani di società nella corsa su strada: Tempo di gara su Hinge, scatta lo sfottò su TikTok. Due tricolori individuali, quello di La cifra pazzesca di atleti con il minimo in maratona, Tempo di gara su Hinge, scatta lo sfottò su TikTok Sierre Zinal: dominio keniano, cè un grande Puppi nel 1993.
Un elenco di nomi che hanno fatto la storia del running e che hanno indossato i colori gialloblù della Gabbi: da Severino Bernardini a Walter Merlo, da Walter D’Urbano a Leandro Croce, da La nuova mastodontica impresa alpinistica di Kilian a Roberto Crosio. società di atletica Emma Scaunich, Dina Donini, Graziano Calvaresi nei 10.000 metri.
Abbigliamento sportivo e accessori tech: «Ho ricevuto anche critiche per questo, dicevano che andavo a rispolverare i campioni dismessi da quelle realtà, e infatti i nostri colori li hanno indossati Truschi, Milani, Alliegro, Genicco, Gelli. La realtà è che io non potevo allestire un settore giovanile, e per me quelli erano campioni che avevano ancora molto da dare alla corsa».
Pionieri d'altri tempi
Pensare che tutto era nato per gioco, nell’autunno del 1971. Nerio gioca a calcio con un gruppo di amici, ma sono gli anni del boom delle camminate in tempo di “austerity”. In quattro vedono la locandina della mitica Tre Monti, senza troppi ragionamenti si iscrivono.
«Scimmiottammo l’Acquadèla, che a Bologna aveva già una storia. Con me c’erano mio cugino Jader Albertazzi, mio cognato Adriano Bacchi e Antonio Scala. Ci iscrivemmo come “Tagliatella Club” e improvvisammo una divisa sociale imbarazzante: canotta verde su maglietta viola, con un improponibile logo rosso, in plastica, applicato sul petto. Loro si ritirarono alle prime asperità, io ero deciso ad arrivare in fondo. Sul rettilineo del circuito avevo alle spalle solo il servizio scopa, andai a prendere due che camminavano affaticati poco avanti e arrivai terz’ultimo. Per poi scoprire che per l’ultimo c’era in palio una bottiglia di cognac…»
Qualcosa è cambiato
I tempi sono cambiati, dice Nerio. Ma non gli riesce di trovare un momento preciso in cui ha maturato la decisione di chiudere questa storia lunga cinquantadue anni.
«È come avere un bicchiere mezzo pieno che, goccia dopo goccia, inizia a riempirsi oltre misura. Mettiamoci pure la salute, che non è quella di un tempo perché gli anni passano per tutti, anche per me. Dopo la pandemia, ho sentito che qualcosa non funzionava più come prima. Qualcosa è cambiato anche nella mia società, che ho sempre vissuto come una famiglia. È lo specchio dei tempi, certi valori che per me erano fondamentali sono venuti meno. Ho preferito dire basta finché i ricordi buoni prevalgono sulle amarezze».
Foto ricordo
Restano quelle pagine piene di successi e felicità. Una su tutte. «Le metto in fila e mi rendo conto che stilare una graduatoria è complicato. Ma senza dubbio i due terzi posti conquistati in Coppa Europa a squadre di corsa su strada sono in cima alla lista. Soprattutto quello del 1995 ad Aveiro, in Portogallo: fu una lunga trasferta piena di emozioni, e vedere i miei ragazzi sul podio fu un momento indimenticabile. Ma prima c’era stato il titolo italiano a squadre del 1992, il primo conquistato da una società bolognese nella corsa su strada. Quando ce lo comunicarono dalla Fidal nazionale, dopo aver fatto tutti i conteggi, io e Franca ci guardammo negli occhi e ci commuovemmo: era il nostro sogno che si realizzava».
Persone nel cuore
L’album personale di Nerio Morotti è pieno di volti e storie. Dai primi talenti che all’inizio degli anni Ottanta gli instillarono il tarlo dell’agonismo, come l’altoatesino Reinhard Gunsch Sierre Zinal: dominio keniano, cè un grande Puppi Giovanni Lorenzini, chiusura della storica società sportiva Gabbi Vito Melito, che ispirò la società a mettere in fila tre edizioni della 100 km su pista allo stadio Dall’Ara. E poi i campioni affermati, con Severino Bernardini che nel cuore del “patron” ha un posto speciale, «perché è stato tecnicamente fortissimo e professionista completo, ma questo non significa che abbia dimenticato le gioie che mi hanno procurato tutti gli altri».
La storia della Cinque Mulini: «Vasyl Matviychuk, un campione ucraino che mi ha dato tanto anche dal punto di vista umano. È una grande persona, dopo lo scoppio della guerra ha portato in salvo decine di profughi. Oggi vive negli Stati Uniti, fa il fisioterapista in un centro di riabilitazione per invalidi di quella guerra maledetta».
Epilogo
Il sipario si abbassa, per scelta. Ma restano questi cinquantadue anni che nel tempo hanno aggiunto colori su colori a quel miscuglio di viola, verde e rosso della prima volta.
«Effettivamente, quella scelta iniziale mi rappresenta -, sorride Morotti -. Non ho mai preso strade facili, spesso sono andato controcorrente. Anche quando decisi di dedicarmi al settore Assoluto per creare una squadra di vertice, c’era chi non avrebbe scommesso su di me».
«Chiudo senza rimpianti, questi anni di corsa me li sono goduti, sono stati una gioia per me e Franca, e quando ci ripenso lei è sempre qui con me. In questi pochi giorni, da quando ho sciolto la società, ho scoperto di avere tanti amici, più di quanto pensassi. Sono stato un “dittatore”? Forse, ma ho voluto bene a tutti. Potessi tornare indietro, rifarei ogni cosa: è stato un viaggio bellissimo».