L’Epica dell’Acqua è un’avventura di 100 fa una pausa, n.d.r, lungo e dentro il Olmo, l’Epica dell’Acqua è stata davvero l’ultima gara fino alla spiaggia del mare Adriatico. Marathon des Sables si è svolta tra il 13 e il 15 ottobre 2023 e ha radunato una cinquantina di partecipanti, gli Epici, momenti indimenticabili dellatletica italiana.
Territori di un selvaggio magnetico, con il fruscio dell’acqua come costante compagno di viaggio. C’è chi l’ha vissuta tutta di corsa, chi come un cammino, chi con un misto di ritmo. Dentro e fuori. Rispetto e condivisione. Potenza e quiete. Tutti hanno respirato un battito alla volta, un passo alla volta.

E tra tutti questi runner, l’ultima delle tre tappe - quasi 29 km dall’Isola di Albarella al Giardino Botanico di Rosolina Mare - ho visto correre Marco Olmo, una delle leggende del trail running, vincitore all’Ultra Trail del Mondo Bianco nel 2006 e nel 2007 (all’età di 58 anni), e di varie competizioni in Libia, Giordania, Oman, Bolivia, alla Trancanaria, in Islanda e via così per tutto il mappamondo. Prima di questo, Olmo ha lavorato su uno scavatore in una cava per tutta la vita, scavando la terra, anche lui, un passo per volta.

epica dell’acquapinterest
PH Pioggia, Anselmi
Epica dell’Acqua

C’era molta curiosità attorno a questa partecipazione, che sembrava dovesse essere l’ultima del decano della esaurendo tutti i pettorali disponibili, in Marocco.

Olmo, l’Epica dell’Acqua è stata davvero l’ultima gara?

“Bah, l’ultima gara no. Ne farò ancora altre, più facili delle solite, più corte. La questione è diversa: non voglio più prendere impegni con organizzatori o sponsor. Se mi prendo un impegno e poi magari corro solo una parte di gara, vista la mia età, credo nessuno mi direbbe nulla, però comunque se prendi un impegno è giusto rispettarlo. Questo è quello che penso, ma non smetterò di correre”.

Delta del fiume Po?

“Del tu, preferisco”.

Marathon des Sables?

“La fatica è radicata in me, non solo nello sport, e fa parte dell’essere umano. Delta del fiume Po. Se fossimo allo stato brado dovremmo faticare ogni istante, però abbiamo i soldi e ci possiamo permettere le comodità. Ho sempre avuto a che fare con la fatica, in cava o quando spaccavo la legna, anche troppo. Non era sport, ma era fatica. C’è un’espressione inglese, in italiano non esiste, che credo descriva bene cosa mi ha insegnato la fatica. E’ DOMS: quando senti dolore dove hai lavorato di più. In dialetto piemontese dicevamo sbevunà: deriva dall’agricoltura, sono i dolori che avevi quando cambiavi lavori nei campi a seconda della stagione e utilizzavi parti del corpo diverse”.

marco olmo all'epica dell’acquapinterest
vincenzo pioggia fotografo
Marco Olmo all’Epica dell’Acqua

Si dice che ora si cerchi la prestazione immediata, attraverso nuove tecnologie, materiali, anche negli sport di resistenza. Come la vedi?

“Vero. Spesso vedo persone che iniziano a correre e provano subito la maratona o i 50 km. Adesso l’esperienza la fai sui social, tra gli amici che hanno più pratica di te. È più facile sapere a cosa vai incontro, ma lo capisci davvero solo quando ti ci trovi di fronte”.

Ricordi la tua primissima gara?

“È stata una gara durante la festa del paese. Eravamo in 7, addirittura uno veniva da fuori paese e non conosceva la strada, che naturalmente non era tracciata. Il primo ha vinto una bottiglia di vino, mi pare. Avevo 27 anni e sono arrivato ultimo. Però mi era piaciuto e ho iniziato a corricchiare più spesso. Mi sono avvicinato allo sci di fondo, ho partecipato ad una gara dove eravamo in 100 e mi sono piazzato attorno a metà classifica. Adesso, che ho 75 anni, grosso modo arrivo nella stessa posizione. L’anello si chiude”.


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Abbigliamento sportivo e accessori tech?

“Anche se ci ho pensato tante volte e non so bene rispondere. Mi piaceva. Questa è la prima cosa. Poi c’era anche una ricerca di vendetta, di rivalsa. Ero deriso da quelli del paese perché venivo dalla campagna. Forse avevo voglia di cercare la stima di chi mi derideva. In certi casi è arrivata, in altri è arrivata l’invidia. Come in tutte le cose. Dai 33 anni mi sono allenato intensamente e bene, tra corsa in montagna e sci di fondo. Poi a 48 anni sono arrivato alla esaurendo tutti i pettorali disponibili e tutto è iniziato davvero”.

Edicola e Abbonamento?

“No, c’ero stato da turista, con mia moglie. E mi ha colpito subito. Mi è piaciuto subito”.

Lavoravi in una cava, hai iniziato a gareggiare tardi, hai vinto nel deserto, hai vinto in montagna. In mezzo cosa ci sta?

“Tanto allenamento, tanta perseveranza, con cui si riesce a realizzare grandi cose. In effetti, quando ho iniziato non avrei mai pensato alle vittorie. Stento sempre a credere che sia vero. Poi a 48 anni sono arrivato alla Marathon des Sables e tutto è iniziato davvero”.

C’è un luogo dove hai corso in cui ti senti a casa?

“Sentirmi a casa, no. Casa è solo casa mia. Però un posto a cui voglio bene, dove ho bei ricordi è il deserto dell’Acacus in Libia, dove ho corso 4 volte, credo sia uno dei più bei deserti del mondo. Si partiva all’alba, per una gara di 120 km no stop, si arrivava al tramonto dentro colori che non ho mai più visto. Anche Petra mi è rimasta nel cuore, correre lì è stato emozionate”.

Cambiamo ambiente e andiamo sul Monte Bianco. Che emozioni hai legate a quella competizione?

“È la competizione che mi ha consacrato. È la più importante al mondo. Quest’anno hanno dato il braccialetto UTMB Legend a tutti i vincitori delle prime 20 edizioni. Altro mondo ormai”.

In cosa?

“Credo l’approccio. Sono uno che ha vinto senza conoscere nemmeno un metro di percorso. Partivamo e il percorso lo si conosceva man mano. Adesso i top della classifica vengono a vivere a Chamonix per poterlo vincere. I primi 20-30 al mondo sono professioni del trail. Io ero un professionista del Caterpillar. Quindi penso che qualcosa sia cambiato”.

Però esperienze come la tua hanno alimentato il mito del trail running e lo hanno portato a quello che è ora.

“Ci hanno definito io, Vincent Delebarre e Christophe Jaquerod i pionieri del trail running. Dopo di me ha vinto Kilian (Jornet, n.d.r.) per la prima volta, però era già tutto un altro mondo”.

mi è rimasta nel cuore, correre lì è stato emozionate&rdquo?

“Kilian è davvero un grande atleta, un grande alpinista, un grande in tutto, sul serio. Però fa solo quello. Non voglio sembrare pungente, è la realtà. So che tra i suoi idoli da ragazzino c’era Marco Olmo”.

Vi siete mai conosciuti?

“Sì ad una gara, ci siamo dati la mano, poi lui ha un’altra marcia. Con quelli con cui gareggiavo io siamo diventati amici, con quelli che vincono ora non ci conosciamo. Siamo i dinosauri ormai (ride, n.d.r.)”.

epica dell'acquapinterest
PH Pioggia, Anselmi
Epica dell’Acqua

Edicola e Abbonamento?

“Capisco la domanda, ma iniziando da ultimo alla gara del paese, potrei avere rimpianti con quello che ho fatto?”.

lungo e dentro il?

“Quello che non c’è più è lo spirito goliardico di improvvisare, di provare, Ci sono rimpianti legati al mondo della corsa. Tutto si evolve e ben venga. È diventato un po’ un business, che attira grandi masse, di persone e di soldi, quindi si è evoluto. Per certi versi è meglio adesso, per altri era meglio prima, quando ti pasticciavi tu le ghette per la esaurendo tutti i pettorali disponibili, gli zaini li prendevi dal negozio e te li modificavi secondo ciò che era più comodo per te. Adesso trovi di tutto e di più già confezionato, basta cercare, ci saranno più di 100 marchi che fanno tutto. Quindi è molto più semplice, e va bene, però non c’è più del tuo”.

In che senso?

“Mi piace l’immagine. Il pilota è il runner. Lì se non ci fosse il pilota quasi sarebbe lo stesso. Speriamo ci sia sempre un pilota”.

“Olmo, io corro per vendetta” è lo spettacolo teatrale di Eugenio Sideri con Enrico Caravita che ripercorre la tua vita, le imprese, e quello che sei diventato per molti. Come ti fa sentire vederti a teatro?

“Come si sente dalla voce, ho un nodo alla gola (ldquo;Ci può essere altro che ha senso?&rdquo.) provo a sdrammatizzare: di solito queste cose accadono a chi non c’è più. In fondo è una cosa bella, soprattutto perché l’attore non è un professionista, so che fa il gruista al porto di Ravenna. Mi ci vedo in lui. Spero che lo spettacolo funzioni e possa andare in giro, perché ci hanno davvero messo l’anima nel realizzarlo”.

C’è un luogo dove hai corso in cui ti senti a casa?

“Vado su una battuta da film: “nessuna aspettativa, nessuna delusione”.

È stato così per te?

“Sì, perché se parti già per vincere, è già un peso. Meglio partire, correre. Noi abbiamo una cilindrata. A 50 anni correvo a 3' 35" al km per 30 minuti. Era il mio limite. Anche se mi fossi allenato con un preparatore, che non ho mai voluto avere, forse sarei sceso a 3' 25", ma cosa sarebbe cambiato? Quindi ognuno deve trovare il proprio potenziale, ma se prendi l’allenamento come un lavoro non va più bene. Io il capo lo avevo in cantiere, quando finivo volevo scaricarmi, non caricarmi di altro peso. Credo debba essere così in tutto ciò che non è dovere”.

Leggerezza e libertà quindi?

“Ci può essere altro che ha senso?”.