Il passo del pinguino - il linguaggio del corpo

Siamo tutti convinti che il nostro fisico sia in grado di sopportare qualsiasi fatica. Finché non crolla

Tamberi e Doualla andranno ai Mondiali

All’inizio di quest’anno ho incrementato le mie corse perché avevo nel mirino una 10K. Quindi mi sono messo le scarpette qualche volta più del solito – peraltro digerendo la nuova “quantità” - e migliorando la qualità con degli allenamenti più veloci (non riferitevi al concetto assoluto di velocità: diciamo che erano dei lavori un po’ meno lenti del solito...).

Quando avrei potuto raccogliere i frutti di quella semplice ma fruttuosa programmazione, mi è toccato passare circa 4 settimane in viaggio tra aereo, nave e autobus, in un lungo giro in Argentina e Antartide e ritorno. Il tutto si è concluso con una tratta, quella per rientrare, in cui sono stato seduto per ben 27 ore. A pensarci bene, un disastro annunciato. Una volta rientrato a casa, infatti, è bastato che mi chinassi per posare un pacchetto a terra e non sono più riuscito a rialzarmi, piegato in due in un’involontaria posizione yoga. Ho chiesto a mia moglie di aiutarmi a rimettermi diritto, ma non ha potuto far niente, così ho dovuto ricorrere al Pronto Soccorso.

Mentre me ne stavo steso a pancia in su aspettando che gli antidolorifi ci e i miorilassanti facessero effetto sulla mia schiena, ho avuto tutto il tempo per riflettere. Vuoi perché indotto dai farmaci, vuoi perché condizionato dalla situazione, mi sono ritrovato a meditare sull’apparente rapporto di odio-amore che ho con il mio corpo. Per tanti anni me ne sono completamente disinteressato. L’ho costretto a sopportare l’alcol, la nicotina, continui eccessi alimentari, e me ne sono stato lì a guardarlo aumentare in dimensione e lentezza, mentre diventava sempre più faticoso viverci dentro.

Quando ho cominciato a correre sono stato preso dall’ ossessione di capire cosa fare. Poi ho realizzato quali fossero le mie potenzialità, ho imparato ad andare oltre la mia “comfort zone” e a ridefinire i limiti entro i quali pensavo che il mio corpo fosse in grado di reagire bene. Però non ero arrivato a comprendere il concetto più importante: che il mio corpo è unico e che non ne avrò mai un altro. Che lo ignori del tutto o che lo sfrutti esageratamente con allenamenti troppo intensi, il risultato finale non cambia: dopo aver mandato in malora quello che si ha, non si può certo uscire e comprarne un altro così come si fa con qualsiasi accessorio usurato.

Così, adesso, dopo quell’overdose di viaggi e di fatica, lui e io siamo rientrati in sintonia. E sono orgoglioso quando m’infilo da solo le calze, stupefatto quando mi allaccio le scarpe, grato quando cammino per qualche centinaio di metri, felice per ogni minuto di corsa che faccio. Non mi capiterà mai più di dare per scontato il dono di poter correre un chilometro, figuriamoci una maratona. La dolorosa esperienza non andrà facilmente nel dimenticatoio, anche solo per il fatto che non ho proprio voglia d’imparare daccapo la stessa lezione.

Finalmente consapevole di essere il solo responsabile di tutto ciò che di buono o cattivo accade al mio corpo, ho preso l’impegno di non trascurarlo e, anzi, di prendermene cura in maniera seria. Il prossimo febbraio sarò ancora in viaggio (in aereo, nave e bus) tra Argentina e Antartide e sarò di sicuro in grado di capire meglio che cosa sto effettivamente chiedendo al mio fisico. Sarò più preparato e avrò una strategia migliore per mantenerlo tonico, affrontando così il viaggio nel migliore dei modi.

Una strategia che mi consenta di mantenermi più attivo durante le lunghe ore dei trasferimenti e poi di tornare in modo più soft alla vita di tutti i giorni tenendo conto delle lunghe trasferte fatte. Lo farò perché finalmente ho capito la lezione, ma anche perché so che, se mi capitasse ancora qualcosa del genere, forse non avrei il coraggio di ricominciare.

Direttore Responsabile – Rosario Palazzolo.

John “Il Pinguino” Bingham. Un mito nella “comunità dei corridori”, musa ispiratrice per una generazione di nuovi runners che vogliono divertirsi camminando, correndo  e anche gareggiando. La sua vita si è trasformata da “prigione della sedentarietà” a libertà della maratona, diventando un esempio per tanti di tutte le età e capacità. Con pensieri umoristici e un po'autocritici Bingham invia il suo messaggio di speranza e ispirazione alla gente che corre da una settimana o da una vita.