“I finlandesi hanno una cosa che chiamano “sisu”. È un insieme di spavalderia e coraggio, di ferocia e tenacia, capacità di continuare a lottare quando la maggior parte della gente si sarebbe già ritirata, e di lottare con la volontà di vincere. I finlandesi traducono “sisu” con "lo spirito finlandese", ma è una parola molto più profonda”.
Così spiegava un articolo sul Time, l’8 gennaio 1940, quando la gente di Finlandia si impegnò in quella che sarebbe passata alla storia come la “guerra d’inverno”, contro l’invasione sovietica.

Forza di volontà, tenacia, determinazione. E resistenza, anche. Agli attacchi di un potenziale nemico o del destino, ai graffi maldestri della storia. Un modo di essere, la “sisu”. Un orgoglio, per chi è nato in Finlandia. Come Lasse Viren, che negli anni Settanta ci costruì una leggenda olimpica che ha resistito al tempo, ai sospetti, alle maldicenze. L’ultimo dei grandi “finlandesi volanti” che hanno segnato la storia del mezzofondo internazionale. L’unico capace di vincere la medaglia d’oro sia nei 5.000 che nei 10.000 metri, e di farlo in due edizioni consecutive delle Olimpiadi moderne. In un periodo in cui il firmamento della corsa brillava di stelle memorabili. Nessuno prima di lui. Solo Mo Farah molti anni dopo, con le doppiette d’oro a Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016.

Nel sego di Nurmi

Nato a Myrskylä, un centro di neppure duemila anime a un centinaio di chilometri da Helsinki, il 22 luglio 1949, Lasse Artturi Viren aveva l’orgoglio e l’autostima del leone, suo segno zodiacale, ma un carattere riservato e freddo, a tal punto da sembrare talvolta scostante. Nato e cresciuto in una zona di foreste, ne rifletteva umori e solitudini ascetiche. Nella sua cittadina lavorava nelle forze dell’ordine, dedicando il tempo libero alla corsa e sognando di rinverdire i fasti dei “Flying Finns”, i runners finlandesi che avevano raggiunto i vertici dell’atletica nel tempo: da Kolehmainen a Ritola, da Lehtinen a Hockert, fino al più leggendario di tutti. Il maestro spirituale del giovane Lasse: Paavo Nurmi.

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Mancò per uno strano gioco del destino, un anno dopo Monaco, l’incontro con il suo idolo. “Ricevetti una chiamata prima di uscire di casa, e non dimenticherò mai quella data: era il 2 ottobre 1973, il giorno in cui Nurmi morì. Dovevo finalmente conoscerlo, invece mi ritrovai qualche giorno dopo a portare fiori davanti alla sua statua, ad Helsinki”. Già molto tempo prima, affrontando le strade solitarie della corsa, Lasse aveva fatto tesoro delle parole del suo mito. “La mente è tutto”, diceva Paavo, “ciò che sono parte da lì, non dalle gambe”.

Alle Olimpiadi del 1972, Viren non arrivò da sconosciuto, anche se aveva iniziato ad affacciarsi alle ribalte internazionali soltanto un anno prima. Agli Europei di Helsinki del 1971 aveva colto un settimo posto nei 5000, all’ombra del connazionale Juha Vaatainen che nell’occasione era salito sul gradino più alto del podio, davanti alla sua gente. Lasse aveva continuato a riempire le sue giornate di chilometri, una media di oltre seicento al mese fino al traguardo di Monaco. Avrebbe chiuso l’anno olimpico con 46 gare all’attivo, e all’appuntamento si presentò con i nuovi primati finlandesi (13:19.0 sui 5000, 27:52.4 sui 10000) e soprattutto con il viatico del “mondiale” sulle due miglia, corse in 8:14.0 a Stoccolma, il 14 agosto. A ventitré anni, poteva essere tranquillamente citato nell’elenco dei favoriti delle due distanze a cui era iscritto. Il fatto è che era in ottima compagnia: Puttemans, Gammoudi, Haase, quel fenomeno d’oltreoceano di Steve Prefontaine, anche più giovane di lui. E soprattutto Dave Bedford, il britannico che presentava le migliori credenziali stagionali, 13:17.2 nei 5.000 e 27:52.4 sulla doppia distanza.

Fu proprio l’inglese a impostare la finale dei 10.000, il 3 settembre del 1972, nona giornata olimpica, con una delle sue corse da “front runner”. Fino a portarsi via l’etiope Miruts Yifter, in quella che sembrava dover diventare una corsa a due. Nel frattempo, era successo il fattaccio: incespicando sul belga Puttemans, poco prima di metà gara, Viren cadde a terra, e con lui finì fuori pista anche Mohamed Gammoudi, oro olimpico nei 5000 quattro anni prima, a Città del Messico. Per il tunisino fu fine corsa, mentre il finlandese impiegò meno di 150 metri per colmare il gap venutosi a creare con i battistrada. La fuga di Bedford durò poco, e la consolazione fu un passaggio a metà gara in 13’43”9. Magra, purtroppo. Viren uscì allo scoperto alzando il ritmo con l’accelerazione progressiva destinata a diventare una sorta di marchio di fabbrica, e uno a uno gli avversari dovettero inchinarsi. Gli ultimi a cedere, stoici, furono Yifter e soprattutto Emil Puttemans, che restò incollato fino al rettilineo finale. “Quando sono andato a riprenderlo, sul rettilineo opposto a quello del traguardo”, Resta quello che sta scritto nel libro dell’atletica. Una storia senza eguali, “credevo di poter lottare per l’oro. Ma in quello sprint finale capii in fretta che l’avrebbe vinto lui”. Per Viren, un crono di 27’38”40. Record del mondo, caduta inclusa.

La sfida con Pre

Una settimana dopo, il 10 settembre, nella finale dei 5000 metri Lasse Viren non era più “uno dei favoriti”. Era quello che si era già messo un oro al collo, e li aveva tutti contro. Il campione olimpico uscente, Gammoudi, ripresosi dalla caduta di una settimana prima. Ancora una volta Puttemans. Un Bedford in cerca di rivincite. E quel grande combattente di Prefontaine, già un idolo negli States. Fuori presto dalla corsa alle medaglie il belga e il britannico, fu proprio Pre a vivacizzare una corsa nata, per lui, troppo lenta. E a meno di trecento metri dal traguardo la lotta era ristretta a tre uomini: l’americano, Viren e Gammoudi. Prefontaine si battè con coraggio, andando a riprendersi anche il comando quando Viren aveva già lanciato la sua progressione. Pagò sul rettilineo finale, perdendo anche il bronzo a vantaggio dell’inglese Ian Stewart, praticamente sul traguardo. Intanto, Lasse Viren aveva regolato il tunisino andando a prendersi la seconda medaglia d’oro della sua prima avventura olimpica, in 13:26.42. Primato olimpico.

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Poker leggendario

Furono il lungo silenzio e la relativa assenza di risultati eclatanti ad alimentare i sospetti sul campione di Myrskylä. Dito puntato contro l’autoemotrasfusione, una pratica che sarebbe stata vietata dalla Commissione medica del CIO soltanto a partire dal 1985. Sospetti a cui Viren rispose con le famose spiegazioni, sul filo di una glaciale ironia, sulla sua dieta a base di latte di renna. E ancora una volta buttandosi nell’ascetismo del training, seguendo le indicazioni del suo coach, Rolf Haikkola: un programma rigoroso, un carico di chilometri senza eguali, la predilezione per i lavori di fartlek, l’adattamento sugli altopiani del Kenia prima di Montreal 1976. Al di là di ogni polemica, il “santo corridore” Viren si preparava come nessuno, e puntava dritto alla gloria olimpica. “La mia attenzione era tutta concentrata su quell’appuntamento. Iniziavo a lavorarci un anno prima. E niente mi distraeva”.

Niente campioni d’Africa, nelle Olimpiadi del primo boicottaggio, a Montreal. Niente Yifter, e nemmeno Rono, Ngeno, Bayi, Boit. Corridori eccelsi. Ancora un inglese, Brendan Foster, avrebbe dovuto creare problemi a Viren, quel 26 luglio 1976 nella finale dei 10000 metri. Invece, Lasse partì con la sua progressione inarrestabile, seminando per ultimo il portoghese Carlos Lopes. E quattro giorni dopo chiuse il suo poker da leggenda vincendo una gara dei 5000 metri epica, nella quale sette atleti, alla campana dell’ultimo giro, erano ancora racchiusi nello spazio di poco più di un secondo. Viren sempre a fare il ritmo, ma in tre quasi appaiati all’inizio dell’ultimo rettilineo. L’ennesimo allungo del finlandese, apparentemente la cosa più naturale del mondo, mise in fila il neozelandese Quax e il tedesco occidentale Hildenbrand, riagganciato e superato da Rod Dixon ma capace di riprendersi, cadendo letteralmente sul traguardo, un bronzo storico dentro una gara destinata a restare nella memoria dell’atletica.

In quella stessa ultima festa olimpica, Viren dette prova del suo talento anche in maratona, gareggiando il giorno dopo la vittoria nei 5000 metri e chiudendo al quinto posto in 2:13:10. Ci riprovò a Mosca, nei 10000, finendo nella morsa degli atleti etiopi e chiudendo al quinto posto.

Viren chiuse con l’agonismo un anno più tardi, nel 1981. Per finire negli uffici della Union Bank of Finland, e più tardi diventare membro del Parlamento finlandese, prima dal 1999 al 2007, poi per altri sei mesi tra fine 2010 e aprile 2011. Amato dalla sua gente, rispettato nella vita e in politica. Risoluto, come ai tempi della corsa all’oro. E indifferente alle voci e ai sussurri: “Le persone possono dire ciò che vogliono. Io non ho niente di cui vergognarmi, né il dovere di rispondere alle accuse”. Resta quello che sta scritto nel libro dell’atletica. Una storia senza eguali.